Case dalle pareti storte...
di Roberto Rebecchi
I pochi paesi limitrofi sono disabitati. Le case ci sono, ma le pareti sono storte e sottili e le ortiche si innalzano fin sotto il tetto. Non ci sono nemmeno i topi, perché ai topi servono i rifiuti freschi e abbondanti. Ai topi servono gli esseri umani.
Quando sono tornata, potevo scegliere qualsiasi casa a Cernovo. Io mi sono ripresa la mia vecchia casa. La porta era aperta, la bombola del gas era appena semivuota, il pozzo era raggiungibile in pochi minuti e l’orto era ancora riconoscibile. Ho estirpato le ortiche e sfrondato i rovi, per settimane non ho fatto altro. Per me era chiaro: “Ho bisogno di questo orto. Non posso affrontare tanto spesso la scarpinata fino alla fermata dell’autobus e il lungo viaggio verso Malysi. Ma tre volte al giorno devo pur mangiare”. Da allora coltivo un terzo dell’orto. E’ sufficiente. Se avessi una famiglia numerosa lo ripulirei del tutto. Prima dell’incidente nucleare me ne prendevo molto cura, cosa che in seguito ha giocato a mio favore. La serra è un gioiello nato dalle mani di Jegor, raccolgo pomodori e cetrioli con una settimana d’anticipo rispetto agli altri abitanti del paese. C’è l’uva spina verde e rossa e il ribes rosso, bianco e nero, vecchi arbusti che in autunno poto attentamente per ottenere nuovi germogli. E poi ho due meli e due cespugli di lamponi. Questa è una terra molto fertile. (Alina Bronsky, 2016 L’ultimo amore di Baba Dunja, Ed. Keller Editore, pag. 17,18)
Un terra fertile e avvelenata, che nonostante tutto continui ad amare e a rispettare, che non riesci ad abbandonare perché, nonostante tutto, in quei luoghi ora desolati ci sei nato, ci hai vissuto, ci hai costruito relazioni, amori, famiglia e figli.
Quei figli per i quali hai cercato di fare il possibile per allontanarli da te, per dargli un futuro, per non vederli un giorno ammalati o, peggio, distesi sulla “porta di casa” per quel tragico ultimo viaggio sul cassone del
camion lungo le carreggiate infangate, fino al cimitero del villaggio.
Li hai spinti in braccio a famiglie lontane, a una lingua e una cultura differenti dalla tua, per capire se potevano non solo garantirgli un futuro migliore, ma dare loro anche quei beni materiali che tu non potevi neppure immaginare: andava bene! Va bene perdere anche un poco del loro affetto e della loro stima pur di vederli crescere sani, magari anche sereni, felici, seppur lontani...
Abbiamo guardato sempre con grande rispetto alle popolazioni “contaminate” della Bielorussia, Ucraina e Russia, nella consapevolezza di non essere sempre stati all’altezza del compito che essere volontari e cooperatori comporta, in particolare in luoghi differenti da quelli dove siamo nati e dove viviamo.
Certo, dopo tanti anni di attività è ancora tempo di affrontare con grande serenità il lavoro e l’impegno che sentiamo di voler portare avanti nei confronti delle popolazioni contaminate, consapevoli che le risorse umane ed economiche non sono più quelle di alcuni anni fa, come è normale che sia in ogni esperienza di volontariato.
Non dobbiamo, altresì, dimenticare quel patrimonio di sensibilità e di progettualità che, grazie ai tanti volontari, circoli, comitati e in questi ultimi anni anche tramite il prezioso contributo della Chiesa Valdese, siamo stati in grado di realizzare insieme ai nostri partner locali, alle strutture sanitarie e le autorità locali.
L’accoglienza disinteressata, non legata a un singolo bambino o bambina da accogliere, ha rappresentato per Legambiente un elemento caratterizzante del Progetto Chernobyl: migliaia di bambini e bambine hanno visto tante famiglie disposte ad accoglierli con affetto, con amore e soprattutto con rispetto per loro e le proprie famiglie.
Un patrimonio enorme, una lezione di vita per tutti noi!
Quelle famiglie che ci hanno accompagnato nel percorso di accoglienza, così come le tante altre coinvolte in progetti accoglienza con altre Associazioni, sono un patrimonio di valori: ospitalità, solidarietà, giustizia e fratellanza, accoglienza… valori che si contrappongono al clima di diffidenza e di ostilità nei confronti di profughi, di migranti e di Altri che si è sviluppato in questi ultimi anni nel nostro Paese.
Continueremo, come Legambiente, ad operare ed essere vicini alle popolazioni contaminate della Bielorussia, continuando anche per l’anno 2019 ad accogliere nuovi bambini e bambine presso il Centro Speranza, grazie al Progetto Rugiada.
Ma saremmo ipocriti se nel contempo non continuassimo ad essere vicini e lottare per i diritti di tutti coloro che fuggono dai loro Paesi, qualsiasi sia la ragione, per poterli accogliere degnamente ed evitare che siano costretti a morire durante le infinite traversate nei deserti dell’Africa, dell’Asia e nei mari che bagnano il nostro Continente.
Ancora più importante, per far sì che, al più presto, sia riaperto il dibattito sul riconoscimento del diritto di cittadinanza per tutti i bambini e le bambine che frequentano le scuole insieme ai nostri figli, che giocano con loro e con loro si confrontano quotidianamente.
L’essere partecipe del Progetto Chernobyl di Legambiente oggi è anche questo: aperti all’accoglienza in ogni sua forma!
Scarica il Report del Progetto Rugiada dell'anno 2018 (5,38 MB)